Vogliamo innovare case e arredamenti? Innanzitutto occorre cambiare gusto

Il nuovo millennio ci ha portato una maggiore consapevolezza sul fatto che viviamo nella complessità, la quale deriva dalla facilità di movimento delle persone, delle informazioni, delle merci. Le nostre società sono diventate, quale più quale meno, multientiche, multiculturali; i riti ed i cicli della vita di tutti i giorni hanno subito grandi variazioni; per esempio sono sempre di più le persone che, avendo orario di lavoro unico, consumano i pasti fuori casa, come pure il numero medio dei componenti della famiglia ha subito un drastico ridimensionamento; la tecnologia sta stravolgendo il modo d’uso degli oggetti e degli spazi e tutto quanto cambia con una estrema facilità e velocità.
Ora è quasi ovvio che i cambiamenti veloci e continui richiedono una certa capacità di adattamento che possiamo sintetizzare nel concetto di flessibilità. Concetto che trova posto in tanti aspetti della nostra vita di tutti i i giorni ma che ancora, almeno in Italia, non riesce a permeare la produzione di abitazioni sia come spazio fisico che come componenti d’arredo.
Si determina purtroppo uno scollamento tra la nostra vita quotidiana e gli spazi privati in cui abitiamo, che, per la gran parte, rispecchiano usi e costumi vecchi di un cinquantennio
Il mondo ha già superato da un pezzo la rigida suddivisione funzionale degli spazi interni e noi ancora progettiamo case con disimpegni, ingressi, cucine di vecchia maniera, anche a fronte di una notevole diffusione delle riviste specializzate in arredamento ed architettura di interni e che stanno diventando , come già negli States, un vero culto.
Probabilmente questa carenza di ricerca e di progettualità ha molte cause, tra le quali possiamo includere la rigidezza normativa e regolamentare, quasi una punizione, che pervade la nostra legislazione, od anche la scarsa propensione all’innovazione di una committenza, anche quella con una certa disponibilità economica, che preferisce investire risorse in lussuose barche piuttosto che in residenze che uniscano al lusso l’inventiva e l’innovazione.
Non così avviene, ad esempio, nel mondo anglosassone od in Giappone, che sono tra le aree geografiche più prolifiche nel creare sinergie tra committenza e progetti innovativi.
In questo quadro merita una riflessione anche il rapporto tra architettura e mezzo televisivo, e
forse possiamo sostenere che vi è stato un processo involutivo, se siamo passati dalle esperienze di un giovane Renzo Piano che con la regia di Giulio Macchi, sul finire degli anni settanta, realizzò una serie di trasmissioni sul recupero di un quartiere della vecchia Otranto, alle recenti trasmissioni sulla TV di Stato che hanno proposto improbabili ristrutturazioni di appartamenti di qualche (s)fortunato spettatore, realizzate in poche ore; per non dire di molte scenografie che ogni sera ci vengono proposte, quintessenza del kitch . Questo processo involutivo certamente non ha favorito l’elevazione del gusto e della richiesta generale in tema di qualità estetica, tecnologica e funzionale per le nostre case se è vero, come sostenuto da Emanuele Severino, che la televisione è capace di legittimare come tollerati, tollerabili, od auspicabili un sistema di comportamenti e spingere la gente all’emulazione ed imitazione. In questo caso purtroppo negativa.

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