Vico Magistretti , uno dei padri nobili del design italiano del ‘900 ci ha lasciato.
Nato nel 1920, si formò come architetto sul finire della seconda guerra mondiale cosa che non gli impedì di partecipare, da protagonista, alla formazione ed allo sviluppo del design italiano. Nel 1956 infatti fù tra i fondatori dell’Associazione per il Disegno Industriale.
Autore di numerosi progetti per l’industria dell’arredamento ha ricevuto numerosissimi premi, diventando testimonial del disegno e dell’architettura italiana in tutto il mondo.
La sua opera si è sempre fondata sulla ricerca di espressioni semplici ed elementari, escludendo nei
suoi progetti ogni preoccupazione stilistica e formale, mai però dimenticando la storia e la cultura europee dalle quali ha attinto, riprendendo e reinterpretando secondo i nuovi usi, i modelli archetipi.
Pur provenendo da padre architetto, riuscì a superare i modelli stilistici del primo novecento interagendo sin da subito con l’esperienza razionalista, cercando di trasferire nell’architettura e nel design il valore dell’essenziale desunto dalla sua cultura classica.
Amava infatti citare lo studio della lingua latina come palestra mentale capace di far distinguere le priorità dei valori, dei concetti base, rispetto ai secondari.
In questo senso egli aderì al principio del Concept-Design , di un disegno cioè che parte da un preciso concetto esecutivo–funzionale , talmente semplice da conferire una precisa caratteristica all’oggetto e nel quale la decorazione, intesa come aggiunta non necessaria alla definizione delle sue caratteristiche, era categoricamente esclusa. Non a caso, richiesto su quale oggetto gli sarebbe piaciuto aver progettato, egli citò “l’ombrello”, per la sua semplicità concettuale, funzionale , per la sua forte capacità espressiva rappresentata da elementi costitutivi assai semplici.
Pur essendo un grande architetto trovava maggior soddisfazione nelle opere di design perché riteneva che, nel progettare case, esse molto spesso non hanno un rapporto diretto ed univoco con l’utente, che spesso le sceglie sulla base delle dimensioni, della localizzazione, ma delle quali stenta a ricordarne il colore. L’oggetto è invece acquistato sulla base di una scelta diretta fondata su emozioni e sensazioni oltre che per la sua funzione.
Attribuiva grande importanza ai viaggi che considerava, nel campo dell’architettura, una grande palestra formativa, capace di compensare le carenze dell’insegnamento universitario, causate da troppa teoria e da uno scarso collegamento con l’evoluzione della tecnologia e della società.
Considerava la cultura industriale come la civiltà del nostro tempo e ad essa prestò il suo ingegno creando oggetti da produrre in grande numero, per tanta gente che così poteva trovare nel design soddisfazione ai propri bisogni.
Amava particolarmente il suo lavoro, conscio della fortuna di riuscire a fare quello che gli piaceva e che riteneva importante nella misura in cui era espressione di una collaborazione continua con gli artigiani esecutori dei prototipi, al cui parere ed esperienza attribuiva grande importanza.
Ci lascia in eredità numerosissimi oggetti che sono diventati termini di paragone del design contemporaneo, ancora oggi, alcuni a distanza di decenni dalla loro ideazione, tuttora in produzione.