Che fare delle ex aree industriali? Istruzioni per una rivalorizzazione

Come sempre la ripresa dopo le ferie estive porta a confrontarsi con problemi sopiti dal solleone, o nel frattempo nati in sordina . Il caso di Porto Marghera e del suo polo chimico, che non ha riaperto i battenti, induce ad una riflessione sul fenomeno della deindustrializzazione e sui riflessi che questa ha sulla città fisica, sulla sua economia, sui suoi modelli sociali.
Il polo chimico di Porto Marghera è, insieme a quello dell’Italsider di Bagnoli, la rappresentazione della mitologia di un modello di società operaia in cui una certa cultura ha visto, forse continua a vedere, un caposaldo ed una occasione per la perpetuazione di una lotta di classe , la cui gestione è servita anche alla rinovazione di un potere politico e contrattuale.
E’ forse per questo motivo che l’establishment politico-sindacale ha iniziato un pressing sulla Dow Chemical al fine di farla recedere dalla decisione di dimettere l’insediamento, salvo poi a porre condizioni di nessuna competitività rispetto ad altre aree del mondo oltre a quelle, più che giuste, volte al risanamento ambientale ed alla riduzione dell’inquinamento dell’area. In gioco ci sono in effetti 1200 posti di lavoro che giustamente non possono essere semplicemente cassati.
Dobbiamo perciò interrogarci se la soluzione è quella del mantenimento di una struttura come l’impianto chimico oppure se l’era della globalizzazione, i nuovi modelli di sviluppo planetario, possano offrire soluzioni alternative.
Nel caso specifico si può fare un rapido parallelo con la crisi mineraria delle Asturie in Spagna; lì anni fa , abbandonando appunto la mitologia del posto operaio, sono stati scambiati posti di lavoro in miniera con posti di lavoro nel settore della cultura e del turismo, attraverso la costruzione del Museo Guggenheim a Bilbao, grande opera di architettura contemporanea che, ogni anno, genera un consistente flusso turistico il cui indotto economico ha fatto rinascere la città.
Da noi, a Venezia che è ad un tiro di schioppo da Porto Marghera, da anni si discute sull’opportunità di costruire un’altra opera di Frank Gehry, non meno importante ed attraente di quella di Bilbao, anzi ancora più interessante e foriera di sviluppo proprio perché inserita in un contesto che tutto il mondo ci invidia ma che, forse, comincia ad essere un po’ stantio.
D'altronde la vera ricchezza del futuro, che è già oggi, è rappresentata dalla cultura e dalla capacità di gestire il flusso della comunicazione e dell’informazione e quindi, poiché “dietro ogni problema si cela una opportunità” sarebbe forse il caso di avviare un ripensamento complessivo sui modelli di sviluppo urbano, anche e specie per quanto riguarda la rifunzionalizzazione delle aree ex industriali verso il terziario avanzato e la cultura
Un esempio anche vicino, come la zona delle ex raffinerie di zolfo di Catania, pur nella sua limitatezza ci dimostra come l’assunto possa essere considerato valido: lo testimoniano anche i valori crescenti delle compravendite immobiliari dei vecchi opicifi e la crescente appetibilità della zona per l’insediamento di poli commerciali, culturali e di svago. Università di Catania in testa.

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