Tutela del paesaggio e demolizioni

Si sa! Gli italiani, con l’aiuto particolare  dei media, si innamorano facilmente di slogan sensazionalistici e di tesi suggestive più o meno realistiche o giustificate, dimenticandosi, in questo innamoramento, della sostanza dei problemi.

E' un pò quello che, con i dovuti distinguo e le dovute cautele, è avvenuto nel caso delle demolizioni di due edifici definiti, appunto sensazionalisticamente, "ecomostri":  L'hotel Fuenti  a Vietri sul Mare ed il complesso di Punta Perotti a Bari;

Quest'ultimo più recente caso ha monopolizzato l'attenzione generale attraverso la spettacolarizzazione dell'evento, cosa che ha posto in secondo  piano  alcuni aspetti importanti della questione.

Non ultimo il fatto che , almeno per il caso barese, l'edificazione definita abusiva in realtà pare sia stata iniziata  con il conforto di una concessione ediizia, sia pure, a quanto pare, successivamente dichiarata illegittima.

Non mi pare, almeno in questo caso, di aver rilevato che la gogna mediatica abbia riguardato coloro i quali quei permessi hanno rilasciato.

Ne, mi pare, ci si sia adeguatamente interrogati sul fatto che, almeno in alcuni casi, l'atto ultimo della demolizione sia in qualche modo il fallimento della capacità di  saper governare errori attraverso la cultura del progetto e della compensazione.

A maggior ragione  in quanto demolizioni così imponenti pongono seri problemi di ordine ambientale anche relativamente allo spandimento di grandi quantità di polvere nell’aria, allo smaltimento dei materiali demoliti che possono contenere inquinati pericolosi.

Più di un dubbio poi viene quando si apprende, come nei due casi citati, che  la demolizione  non è finalizzata al ripristino della naturalità del paesaggio compromesso ma alla costruzione di altri edifici.

Al posto del cosiddetto ecomostro barese sorgerà, secondo le intenzioni del Sindaco Emiliano,  un quartiere commerciale, destinato alla balneazione ed alla vita notturna, mentre la riqualificazione del sito del Fuenti  dovrebbe avvenire  attraverso la realizzazione di una nuova struttura alberghiera inserita in un parco turistico.

Quindi comunque, in ambedue i casi, si è demolito per poi nuovamente costruire, con buona pace di chi tanta energia ha speso per arrivare alla demolizione dei cosiddetti ecomostri.

A rendere più amare queste constatazioni vi è il fatto che  a cotanto risultato si è pervenuti attraverso vicissitudini durate decenni; decenni durante i quali i siti hanno vissuto in una sorta di limbo paesaggistico imposto al  luogo ed ai suoi abitanti.

E d'altronde perché meravigliarsi visto che dalle nostre parti si è consentito di far spuntare come funghi edifici senza costrutto sulla foce del Simeto, senza poi né demolirli né pensare ad una seria opera di riqualificazione urbanistica ed architettonica, oppure, prima si è acconsentito, con atti formali, alla demolizione della villa Liberty  dei Bonaiuto  e poi , a demolizione iniziata, si sono bloccati i lavori con la conseguenza che i ruderi fanno da decenni bella mostra di se nel quartiere bene di Catania senza che si intraveda una qualsiasi conclusione della vicenda.

Non possiamo quindi meravigliarci  di quanto accade, che accade anche perché da troppo tempo l’urbanistica italiana è affare che riguarda in primo luogo speculatori, avvocati e magistrati, invece che architetti ed urbanisti. E si vede!

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