Che sicurezza vogliamo nei cantieri se mancano regole e professionalità?

Troppo spesso in Italia problemi antichi vengono enfatizzati sull’onda emozionale di qualche evento. Succede con la prevenzione antisismica quando si verifica qualche terremoto, succede, è successo, quando qualche operaio muore in un cantiere.
Così la morte di un giovane ed il ferimento di altri quattordici operai nel cantiere dell’autostrada Catania Siracusa, porta alla ribalta la sicurezza dei lavori edili e solleva più di un ‘interrogativo e di un’indignazione.
E dire che la legislazione italiana è stata sempre all’avanguardia per quanto riguarda la tutela della sicurezza dei lavoratori , anche prima dell’entrata in vigore delle procedure europee.
A meno del vizio di fondo, tutto italiano, di ricondurre il tutto alla burocratizzazione delle procedure, sempre più volte alla ricerca di responsabili e capri espiatori che alla ricerca della effettiva sicurezza.
Quale sicurezza effettiva potrà raggiungersi se chiunque, da un giorno all’altro, può essere assunto in un cantiere edile, privo di qualsivoglia seria preparazione sul mestiere e sui conseguenti rischi; quale sicurezza potrà essere perseguita se le procedure di aggiudicazione dei lavori tendono a privilegiare la massima economia ed il massimo risparmio sui tempi di realizzazione; per non dire dei costi delle procedure burocratiche degli studi sulla sicurezza riversati abbondantemente su committenti ed imprese, chiamati a sostituirsi, attraverso figure professionali apposite, al ruolo dello Stato e dei suoi Ispettori; costi che inevitabilmente ciascuno cerca di contenere nella logica del mantenimento dei profitti.
Non solo, ma la frammentazione delle responsabilità tra Committenti, Imprese, Direttori dei Lavori, Coordinatori della Sicurezza ecc. alla fine, oltre che rischiare di trasformare il problema nella produzione di quintali di carte, formalmente ineccepibili, crea il classico gioco dello scaricabarile che, se non altro, rende difficoltosa la ricerca delle effettive colpe e responsabilità quando disgraziatamente succede qualche guaio.
L’attuale ministro alle infrastrutture, Di Pietro, ha posto il problema del conflitto esistente tra le procedure di appalto ed il perseguimento degli utili imprenditoriali, tra la necessità del mantenimento di tempi a volte troppo stretti e possibilità di subappalti totali per cui alla fine non si ha chiarezza sull’effettivo esecutore delle opere e sul suo knock-own tecnologico ed imprenditoriale.
Forse è il caso cambiare radicalmente approccio verso il mondo delle costruzioni, recuperando il senso etico del costruire che comporta di guardare ad esso come espressione della cultura dell’uomo e della società e non solo come dato economico-temporale sull’altare del quale sacrificare ogni principio più alto. Abbiamo sostenuto questa tesi con riguardo alle attività di progettazione e di pensiero; il ragionamento vale per intero rispetto a tutto il processo, partendo dalla formazione degli operai, passando dalla accuratezza di chi progetta, arrivando alla responsabilità di chi realizza.
D’altronde tecnici e progettisti non possono pensare solamente a fare bei disegni o calcoli mirabolanti. Devono occuparsi, insieme agli altri soggetti, che disegni, calcoli, operazioni e disposizioni, convergano verso il fine dell’opera, che non può essere solo quello di generare utili o rispettare procedimenti burocratici a volte fini a se stessi, con ciò riconquistando l’autorevolezza e l’indipendenza di qualche tempo fa.

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