La regressione dell’architettura made in Italy dopo il congelamento di ricerca e innovazione

E’ di questi giorni una serie di botta e risposta sui più importanti mass-media italiani a proposito delle commesse di progettazione affidate ad architetti stranieri. Sottsas, Portoghesi ed altri hanno scritto un appello al Presidente Ciampi lamentando la colonizzazione dell’architettura italiana da parte di professionisti stranieri ed una funzione limitatrice ed anticulturale delle Soprintendenze. Fuksas ha contestato questa lamentazione sostenendo che l’interscambio di esperienze diverse costituisce, tutto sommato un arricchimento ed è reciproco.
Tuttavia pur condividendo la posizione di Fuksas non si può non riconoscere che l’architettura italiana ha perso, in parte, il ruolo guida che nel passato ha rivestito nel panorama internazionale, a meno di pochi esempi ed esponenti (Piano, lo stesso Fuksas, Gregotti e pochi altri).
Non credo che ciò sia avvenuto per colpa delle Soprintendenze, bensì per una generale mancanza di coscienza generale sul valore della ricerca ed dell’innovazione del pensiero architettonico e di un sistema legislativo che ha privilegiato, con scopi stupidamente moralistici e falsamente ambientalistici, la limitazione quantitativa , la conservazione tout-court, il rispetto formalistico di procedure complicate e limitative che alla fine, paradossalmente ma non tanto, ha prodotto l’effetto opposto: poche realizzazioni, di bassa qualità, danni ambientali veri, depauperamento delle energie intellettuali di tanti professionisti italiani, costretti a misurarsi non con la competizione e la cultura internazionale ma con tale perverso sistema, che, ad onor del vero, non ha risparmiato gli stessi protagonisti dello star-system internazionale dell’architettura. Vedi le diatribe sull’auditorium di Renzo Piano o l’Ara Pacis di Richard Meyer a Roma oppure l’incidente di percorso di Arata Isozaki agli Uffizi di Firenze, solo per citare gli esempi più noti.
A ben vedere, quest’aspetto delle norme e delle Leggi non riguarda solo il mondo dell’Architettura, ma gran parte del sistema normativo italiano. Qualcuno ricorderà che, qualche anno fa, i doganieri dei valichi alpini, attuarono una singolare forma di sciopero, non incrociando le braccia, bensì applicando alla lettera i dispositivi normativi, cosa che provocò un blocco stradale ai confini, forse peggio dell’incendio sotto il tunnel del Monte Bianco.
Non a caso per poter realizzare opere pubbliche lungamente attese, si è dovuta inventare la cosidetta Legge Obbiettivo che, in pratica, annulla e bypassa la Legge sui lavori pubblici, con la quale poco o nulla forse si sarebbe potuto realizzare.
Mi pare ovvio che un sistema che per poter funzionare deve prevedere il suo stesso superamento, sia un sistema sbagliato , che nulla a che fare con la trasparenza e la qualità; anzi.
Noi stessi, progettisti, abbiamo colpa nell’omologarci ,o peggio scopiazzandoli, a linguaggi dell’architettura appartenenti ad altre culture, ad altre abitudini, ad altri climi.
Quindi se un appello per l’Architettura và lanciato, non deve esser contro i professionisti stranieri o le Soprintendenze , ma a favore della cultura italiana ed a favore di Leggi che riconoscano il valore della ricerca e dell’innovazione basata sulla nostra specificità.

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