Possiamo considerare, per il momento, concluso il processo espansivo delle Città, vuoi per la consapevolezza che il territorio è una risorsa già abbondantemente saccheggiata, vuoi per il conseguente surplus di vani disponibili in rapporto al numero degli abitanti che, se non fosse per il fenomeno dell’immigrazione, sarebbe in significativo decremento.
Ciò apre interessanti scenari per quanto riguarda il processo di evoluzione delle Città che, a questo punto, può e deve concentrarsi sulla riqualificazione.
Le città guida italiane, Milano, Roma, hanno già avviato questo processo concentrando risorse ed energie in questa direzione con particolare attenzione alla riqualificazione delle loro periferie, intendendo con queste sia gli agglomerati sorti ai loro margini nel dopoguerra, sia i Comuni vicini che su di esse gravitano, sia le aree degradate interne alla città stessa.
Riqualificazione che è insieme fisica e sociale, poiché tende ad incidere sui modelli di vita e comportamentali dei residenti. Questa sfida parte sempre dall’abbandono della monofunzionalità dei quartieri, essendo consapevole che un agglomerato di sole case sarà sempre e solo un dormitorio, a volte di lusso, ma sempre periferia nel senso deteriore del termine. E’ il fallimento e l’abbandono dell’urbanistica post-bellica della zonizzazione, ed il recupero, in termini contemporanei, dei valori delle città del passato, dove l’integrazione fisica delle funzioni abitative e lavorative o sociali costituiva l’effetto attrattivo (anche economico) che determinò l’urbanesimo.
I quartieri che Richard Rogers, Renzo Piano, Vittorio Gregotti stanno progettando a Milano e Roma costituiranno, ciascuno con le proprie prerogative, i modelli di riferimento, per questi processi per i quali si prevedono entro il prossimo decennio investimenti per 15-20 miliardi di euro. Queste realizzazioni prevederanno case, scuole, università, centri culturali, spazi per il gioco la socializzazione e la cultura, in un mix che dovrà servire sia all’identità ed al senso di appartenenza degli abitanti, sia a creare quel flusso di persone ed utenti da e per la città consolidata, che tenderà ad assumere una struttura policentrica secondo il modello della rete. Allo stesso modo si tenderà al recupero ed allo sfruttamento delle aree libere interne (possiamo chiamarle aree risorsa) nelle quali avviare processi di ristrutturazione urbanistica ed architettonica anche per sopperire ad alcune carenze infrastrutturali che le nostre città, a causa della loro caotica crescita soffrono. Sarà, dovrà essere risolto il rapporto con la mobilità pubblica e privata, nella logica di offerta di opportunità di movimento senza pensare a modelli coercitivi che inibiscano la libera scelta degli abitanti.
Tutto questo nella logica del recupero dei valori semantici, estetici ed etici dell’architettura; non a caso i privati promotori delle iniziative citate hanno scelto progettisti di fama, i quali con il disincanto dovuto all’esperienza, per bocca di Gregotti si sono definiti una sorta di specchietto per le allodole, cioè garanti nei confronti degli acquirenti di quella qualità architettonica che nella produzione edilizia corrente è quasi sempre mancante.
Ma questo approfondiremo la prossima settimana.
Giuseppe Scannella