Una recente statistica ci informa che la Sicilia, tra i suoi primati, ha anche quello del maggior numero di costruzioni abusive lungo le coste. Il fenomeno esiste e merita un qualche ragionamento, leggero come il clima vacanziero impone.
Rifletto che, se il lettore si trova in questo momento in una località sul mare, più che percepire se le costruzioni che possibilmente circondano quel luogo sono abusive, percepisce se esse sono gradevoli e dialogano con l’ambiente o, al contrario, quest’ambiente sviliscono. E’ chiaro che se fa il bagno verso Priolo o Milazzo difficilmente sarà disturbato da qualche gruppo di case abusive, essendo la sua attenzione interamente rivolta alle “legatissime” raffinerie di petrolio che vivificano le viste di quei luoghi.
Considererei poi, a proposito della statistica, che la Sicilia, in quanto isola, ha uno sviluppo costiero di circa mille km., certamente ben più esteso di molte regioni italiane. Ne consegue che è maggiore la possibilità di costruire legalmente od abusivamente sulle coste, essendo la quantità di materia prima maggiore.
Che dire infine dell’obbligo di Legge di redigere i piani paesistici, mai fatti, e la cui mancanza ha spesso precluso la possibilità di costruire legalmente?
Come si vede, scandalizzarsi è facile ma, a ben vedere, le colpe dei danni al nostro paesaggio, sui quali è bene anche non abbandonarsi al catastrofismo, non sono solo prerogativa dei cosiddetti abusivi. I quali per altro non sono da deresponsabilizzare, men che meno da compatire. Perché il danno esiste ed è ben maggiore in quanto l’abusivismo, di spiaggia o no, è quasi sempre fatto di costruzioni di pessima qualità , vera e propria spazzatura edilizia ed urbanistica. Ciò conferma quello che un grande economista, Coran Bright, trent’anni fà ebbe a dire e cioè che gli insediamenti umani del ‘900 costituiscono spesso solo un accampamento, registrando così il fatto che l’uomo contemporaneo non ha coscienza dell’ abitare.
Se esiste un problema dovrà pur esistere una soluzione, che non potrà ragionevolmente essere quella della demolizione tout-court né quella delle sanatorie, storicamente inefficaci, anzi promotrici di ulteriori abusi che nulla risolvono, neanche i problemi di cassa dell’Amministrazione Pubblica. Una possibile soluzione, difficile però, è quella che potrebbe derivare da uno sforzo sinergico tra i saperi degli Architetti, Urbanisti, Ecologisti, che notoriamente non si stimano e non si fidano gli uni degli altri, e tra loro ed i cittadini, abusivi e non, per trovare un sistema di regole condivise che si faccia carico della riqualificazione delle nostre coste. Nel concetto di riqualificazione che possiamo immaginare sono comprese le demolizioni, le delocalizzazioni, le rinaturalizzazioni, tutte operazioni non valide di per sé ma in quanto facenti parte di un opera di ridisegno dei luoghi secondo le logiche del progetto, che per essere meglio attuato dovrebbe essere più partecipato e condiviso, anche nei suoi valori ed oneri etici oltre che materiali, e che deve tendere al soddisfacimento di bisogni, tra i quali vi è certamente quello di vivere il mare.