Se il futuro è delle città di mare, Catania deve recuperare il legame col porto

Il rapporto tra la città ed il suo fronte a mare è stato sempre motivo di discussioni, di problemi, opportunità sin dal momento in cui si è affermato il concetto stesso di città. Rapporto che, ancora oggi, non tutte le realtà urbane sono in grado di correttamente governare; a causa della conformazione urbana, di problemi fiscali e doganali, di insensibilità o di autoreferenzialità.
Per esempio la nostra città si è caratterizzata negli ultimi centocinquantanni per aver costruito barriere sempre più impenetrabili verso il suo mare: la ferrovia, la stazione, il porto, paradossalmente anche i lungomare. Barriere che hanno negato questo rapporto così come l’edificazione speculativa della ricostruzione ha negato il rapporto tra la città e la sua montagna.
Gli ultimi anni hanno visto una miglior presa di coscienza, da parte di tutti, sulla necessità di ricostruire questi rapporti; sono stati elaborati, o lo sono ancora in corso, progetti volti alla liberazione del mare: il famoso, per quanto misterioso, progetto di Bohigas per il lungomare, l’interramento dei binari lungo il viale Africa fino alla stazione ed oltre; il nuovo piano regolatore del porto ed ancora il piano urbanistico attuativo Catania Sud per la zona della Plaja.
Addirittura sono stati attivati tavoli concertativi per rendere partecipi di questa grande trasformazione della città le energie sociali, professionali e culturali che la compongono.
Le quali, credo, abbiano fatto ciascuna la propria parte, discutendo, proponendo, in qualche caso contestando, sulla base delle informazioni ricevute.
Per esempio, nel caso del porto, si è posto l’accento sulla necessità di conferire maggiore specializzazione alle attività portuali, con particolare attenzione per crocieristica, potendo contare , per le merci sul vicino porto di Augusta e sulla logica di un sistema portuale d’area vasta integrato, evidenziando l’opportunità rappresentata dal nuovo modello di sviluppo del bacino portuale per le aree al suo intorno, potendosi generare l’innesco di un processo di riscatto, sociale prima che fisico, dei quartieri deboli della periferia sud; per esempio si è discusso sulle strategie e sulle scelte relative allo sviluppo della costa sud, concentrandosi anche sulla necessità di favorire la qualità etico-estetica delle architetture da realizzarsi; si è ragionato sulla continuità fisco-spaziale e quindi necessariamente anche ideativa e progettuale tra il Water-fronte lavico e quello sabbioso e della necessità di riequilibrare il divario sociale e fisico tra i quartieri che su di essi si affacciano.
Tutto questo anche nella cornice dei forti investimenti infrastrutturali che sono e saranno fatti nella nostra città, anche guardando agli esempi che dall’Italia, dall’Europa, dal mondo ci arrivano; non a caso l’ultima Biennale di Venezia dedicava ai progetti per le città di mare una intera sezione.
Tutto questo è stato fatto; purtroppo non parrebbe, al momento, che ciò abbia avuto un risultato concreto in termini di miglioramento complessivo delle proposte. Tuttavia ciò non può e non deve significare disimpegno od accettazione passiva delle certezze o delle convenienze di alcuno; semmai deve spingerci tutti, ognuno per la propria parte , verso un maggiore impegno.

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