In questi giorni sto ripercorrendo il tribolato percorso di riforma delle professioni e mi sono imbattuto nella proposta di Legge ad iniziativa popolare per la riforma dell'Ordinamento che le stesse presentarono al Parlamento nell'estate del 2007, ben prima di Monti, subito dopo Bersani.
Ebbene, molte delle cose che le professioni allora chiedevano e prefiguravano sono state poi adottate dal Parlamento:
dal contratto obbligatorio all'assicurazione per la responsabilità professionale, passando per le società tra professionisti e dai nuovi modelli per l'esercizio della podestà disciplinare. Certo sono passati ben cinque anni prima che il Parlamento decidesse di ascoltarci e, in alcuni casi, non lo ha fatto con la dovuta attenzione. Però è semplice constatare il fatto che le riforme poi messe in campo alla fine del 2011, in piena crisi economica, avrebbero avuto ben altro impatto e conseguenze se adottate tempestivamente.
Oggi sono trascorsi quasi altri cinque anni dalla Legge Monti ed è arrivato il momento di correggere le storture e le cose che non hanno dato i risultati attesi. Anche alla luce di alcuni orientamenti sulla natura, ruolo e funzione degli ordini e delle professioni regolamentate che, nel frattempo, sono maturate anche a livello di provvedimenti e decisioni governative e giurisprudenziali.
Al momento è in discussione lo Statuto del lavoro autonomo (approvato recentemente in Senato), nel quale alcune delle recenti istanze sono state recepite, ancora una volta in maniera non sempre organica e convincente; ad esempio sulla reciprocità delle garanzie di fedele adempimento tra cliente e professionista, ma ciò dimostra che, lentamente, la politica recepisce , se ben argomentate, alcune istanze che dal nostro mondo provengono.
Credo sia arrivata l'ora di metter mano ad una riforma organica, dell'ordinamento e del riconoscimento del ruolo che la professione intellettuale ha in Europa, non in Italia, assumendocene, come altre volte accaduto, la responsabilità.