Tra i tanti diritti reali degli abitanti uno Stato moderno e democratico vi è quello di vivere in città e case sicure, in luoghi pubblici gradevoli e funzionali, attenti agli equilibri ambientali. In una parola, a questi cittadini, a noi tutti, deve essere riconosciuto il diritto alla qualità diffusa dell’architettura! Non è solo un mio pensiero: è diritto riconosciuto ai cittadini europei -anche a noi italiani quindi- da norme e risoluzioni comunitarie. E tutti, i cittadini come le Istituzioni, hanno il dovere di concorrere all’affermazione di questo diritto. I primi, quando utenti, con maggiore presa di coscienza e consapevolezza, oltre che di esercizio, di questo diritto; quando tecnici -ingegneri, architetti- con un’attività professionale responsabile, con progetti caratterizzati da alti standard qualitativi in materia ambientale, funzionale, estetica, magari con qualche ostentazione in meno e qualche concretezza in più visti i tempi che attraversiamo. Le Istituzioni dovrebbero agevolare l’approccio della domanda e dell’offerta nella trasformazione urbana verso questo innalzamento della qualità anche perché, posto che troppo suolo, ambiente e paesaggio abbiamo già consumato, l’azione dovrà essere rivolta alla riqualificazione di quanto abbiamo già fatto ed è questa, già di per sé, opera titanica.
E’ una sfida che gli architetti e gli ingegneri italiani hanno compreso, accolto, stanno cercando di portare avanti -anzi di promuoverla- sia come azione dei singoli professionisti sia come atti concreti e di indirizzo politico della professione, pagandone anche le conseguenze. Perché, a fronte di quest’impegno, non sempre le azioni delle Istituzioni sono sinergiche e rivolte agli obbiettivi di crescita e sviluppo, anzi tendono a un abbassamento della tensione e della promozione della qualità: per esempio, forse pochi sanno che nel 2010, tra le Leggi rottamate, furono inserite quelle che stabilivano le competenze professionali proprio di architetti e ingegneri con riferimento alla sicurezza delle costruzioni. Poco male visto che tali competenze, oltre che logiche -e già dovrebbe bastare- sono stabilite da altre norme correlate ma, in un Paese come l’Italia, e la Sicilia ne rappresenta spesso il paradigma negativo, ciò è servito per riaccampare obsoleti diritti e pretese da parte di altre categorie professionali.
Voci che hanno trovato più di un ascoltatore, stante che il numero (dei voti) in politica è dato sensibile e che tali richieste si prestano a “valutazioni” politicamente molto redditizie. Non importa assolutamente se a beneficio o danno di quei valori e diritti materiali e immateriali cui in premessa accennavo. Figuriamoci poi in un momento come questo dove vi sarà a breve una eccezionale concentrazione elettorale. Ecco allora che la Regione Sicilia, nonostante la giurisprudenza della Suprema Corte, emana circolari di incerta validità in materia di competenze professionali appunto, e che magari qualche deputato andrà a complimentarsi con i diretti interessati. I quali non si rendono forse conto, non solo dell’inutilità e delle “carte” e dei festeggiamenti, ma di essere stati abbagliati da un specchietto per le allodole, che li ha distratti dall’occuparsi dei veri problemi alla cui soluzione anche loro, cui si deve massimo rispetto, dovrebbero responsabilmente concorrere.