Gli architetti catanesi, attraverso una sottoscrizione pubblica e un concorso hanno voluto occuparsi dei bambini malati oncologici, regalando le loro idee e il loro sapere per la realizzazione di uno spazio di cura a loro misura che li potesse aiutare, insieme ai loro genitori, a vivere meglio possibile la terribile prova cui sono chiamati. Giovedì scorso si sono svolti i lavori della giuria e, a margine, la città ha avuto modo di ascoltare le esperienze e conoscere il lavoro di uno dei più importanti Architetti italiani, Dante Oscar Benini.
E’ un nome, quello di Benini non altisonante rispetto alle archistars celebrate dallo starsystem, e nemmeno troppo frequente nelle riviste specializzate di architettura tuttavia, la sua produzione , le sue realizzazioni sono spessissimo oggetto di riconoscimenti e articoli sulla grande stampa internazionale oltre che di premi e numerose pubblicazioni monografiche. A ben vedere si potrebbe dire, vista l’eccezionale percorso professionale e l’elevata qualità globale delle sue realizzazioni in tutto il mondo, queste in tutte le loro espressioni caratterizzate da una costante, quasi maniacale, attenzione all’uomo, alle sue necessità, alle sue aspirazioni coniugate con le conseguenti relazioni con lo spazio. La creazione dello spazio, una costante del lavoro di Benini, discende dall’insegnamento di Bruno Zevi mai rinnegato, ma già il percorso formativo di questo oggi giovanissimo architetto di sessantacinque anni, con un’energia e un entusiasmo assolutamente prorompenti, meritano un racconto a se, a partire dalle esperienze giovanili con Carlo Scarpa che lo hanno portato poi a conoscere e collaborare con alcuni grandi dell’architettura mondiale come Niemeyer, Ghery, Meyer, Arup, Libeskind. Un cittadino del mondo ma che non ha dimenticato il fine primo e ultimo del mestiere dell’architetto: quello di dare risposte attente ai bisogni della società in tutti gli ambiti in cui si è trovato a operare, dal design degli interni, a quello urbano, dai grandi complessi industriali agli arredi fino alla costruzione di intere città come quella che stà sorgendo in Russia vicino Mosca. Opere pensate con una grande attenzione alla forma, alla filosofia, coniugate con una tecnica e una tecnologia di altissimo livello dove i temi ambientali e di sostenibilità hanno trovato una sinergia e un equilibrio ben prima di tante altre realizzazioni, forse più celebrate. Se lo dovessi definire, lo definirei architetto, professionista, dell’equilibrio e della concretezza verso l’uomo e lo spazio, inteso anche come rispetto per il contesto. Nelle sue opere infatti non è raro trovare elementi formali, rappresentativi, mai gratuiti ma attenti ai “landmark” del territorio cha anzi cerca di riprendere e rafforzare quali simboli identitari; come nel caso di un concorso per un ponte a servizio dell’Expò milanese -vinto e abbandonato per le solite, purtroppo, alchimie politiche italiane- nel quale le guglie del Duomo di Milano, il loro skyline, diventavano tratto generatore dei supporti dell’impalcato; semplicemente, è il caso di dirlo, geniale.
L’insegnamento,a volte sagace, che Benini ha lasciato ai tanti giovani e non solo che hanno assistito alla sua lectio è stato quello di avere soprattutto una visione: del loro essere, della società, dell’uomo e, attraverso questa, avere il coraggio di definire un percorso verso il quale spendersi senza risparmio e con entusiasmo. E non è poco.
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