No, non si tratta di edifici strani: mi riferisco all'indagine pubblicata da Edilizia & Territorio (gruppo IL SOLE24ORE) che ci racconta lo stato di salute -economico- dei principali studi di architettura italiani.
In tempi in cui i liberi professionisti italiani manifestano e si battono per ottenere il diritto ad un compenso equo, in tempi nei quali qualche pubblica amministrazione affida incarichi importanti con compensi pari a 1 €, fa specie leggere che i primi 50 studi di architettura raggiungono nel 2016 un fatturato complessivo di oltre 206 milioni di euro e che esso si presenta in crescita dell'11,6% rispetto all'anno precedente. La classifica include nomi notissimi e anche sconosciuti tutti però accomunati da un dato: il fatturato prevalente, con punte che superano abbondantemente il 90%, proviene da attività professionali esercitate all'estero.
La lettura di questi dati si presta a varie interpretazioni.
Una ci dice che se questi colleghi (che poi sono di fatto delle organizzazioni) lavorassero solo in Italia vedrebbero il loro fatturato di molto ridotto (pensate che lo studio Piano, tra Genova e Parigi, ha fatturato quasi 60 milioni ma solo poco più di 12 in Italia). Un'altra lettura ci dice che gli architetti italiani vincono o assumono prestigiose commesse all'estero, dove esportano non più il made in italy ma il lifestyle, il brand Italia. Il dato ancora ci conferma che, anche nel settore del progetto e del lavoro della conoscenza, si è consolidato il fenomeno della polarizzazione, tipico delle politiche liberiste e della globalizzazione, per cui le risorse e il risultato della produzione tendono a concentrarsi in poche mani e non si realizza benessere diffuso.
Deve essere così se il reddito medio annuo di un architetto libero professionista italiano oscilla tra i 15 e i 20mila euro, tra i più bassi al mondo.
Concludere che qualcosa nel sistema Italia non va è facile. Troppo facile.
(grazie a Beppe Baracchi per l'imbeccata)