Una recente indagine statistica del Cresme ci dice che, in Italia, esistono circa 12 milioni di edifici residenziali; ma chi li ha progettati?
Emergono dati sorprendenti come, per certi versi, sorprendente è la loro evoluzione.
Di questi 12 milioni, il 41% è nato da fenomeni di auto costruzione nei quali la figura del progettista è stata rappresentata dallo stesso utilizzatore o, al massimo, dal capomastro. Il 40 % è invece stato ideato da un geometra -tecnico diplomato- mentre solo il 19 % è stato realizzato su progetto di un architetto o ingegnere, rispettivamente l’11 e l’8%. Il dato fa il paio con le tipologie costruttive prevalenti, rappresentate da case mono o bi-familiari.
Ancor più delicato è il dato sull’anzianità del patrimonio edilizio residenziale.
Dei 12 milioni di edifici il 18% circa è antecedente al 1919, il 15% è stato realizzato tra le due guerre, il 30,5% tra il 1946 e il 1970, un altro 16,5% nel decennio tra il 1970 e il 1980. Ne vien fuori che l’80% degli edifici italiani ha un’età media ben superiore ai 30-40 anni. Solo il 19% delle nostre case ha una età inferiore ai trentanni. Ciò anche perché la crisi economico-finanziaria che ci ha attanagliato nell’ultimo decennio ha ulteriormente ridotto l’attività complessiva del comparto residenziale, crisi aggravata da provvedimenti governativi che, fino a poco tempo fa, ha penalizzato fortemente il settore.
Allora non c’è da stupirsi della fragilità dei nostri tessuti abitativi, non c’è da stupirsi se fenomeni naturali non di elevatissima intensità provocano, in Italia, disastri e gravi lutti.
Le cose sembrano migliori- da un certo punto di vista- se si analizza l’evoluzione dell’uso di figure professionali adeguate nella realizzazione degli interventi abitativi. Se, come abbiamo visto la media generale di progettisti architetti e ingegneri è pari al 19%, nel decennio in corso, vale a dire dal 2011 al 2016, questa è passata all’80% ; 47,8 per gli architetti e 32,2 per gli ingegneri, con una “resistenza” della figura del geometra, che conserva un dato di poco inferiore al 20% di edifici progettati.
Freddi numeri, statistiche, certo. Che ci dicono però cose interessanti.
Prima fra tutte che è indifferibile metter mano ad una generale riqualificazione/sostituzione del patrimonio edilizio residenziale. Bisogna occuparsi, seriamente, della sua messa in sicurezza e, contemporaneamente, del suo efficientamento in termini energetici, di sostenibilità ambientale e di funzionalità perché, nel frattempo, è cambiata la composizione prevalente dei nuclei familiari, è cambiato il tessuto economico delle famiglie, è cambiata la stessa modalità e mobilità insediativa. In questo un ruolo importante lo giocherà il “Piano Casa Italia” ove mai si riuscirà a farlo partire in modo capillare e diffuso, il che significa anche una semplificazione concreta, non solo annunciata, dei ruoli, delle responsabilità e delle procedure.
I dati ci dicono anche che sta aumentando la necessità di prestazioni professionali ad opera di soggetti qualificati. Passare da un dato dell’11% al quasi 48 di edifici progettati da architetti (nel decennio in corso) non è poca cosa seppur a fronte di una dimensione complessiva del comparto asfittica. Sta aumentando nell’opinione pubblica la comprensione che progettare/riqualificare un edificio è opera complessa, che coinvolge aspetti tecnici, economici, di sostenibilità sociale per la qualcosa la figura dell’architetto sta riconquistando, anche da noi, il ruolo che le è universalmente riconosciuto nel mondo.
Un messaggio di speranza per le nuove generazioni di progettisti, tra le più penalizzate dall’attuale contingenza che, come ho sempre sostenuto, possono guardare con più fiducia al loro futuro. Sta a loro, a noi tutti, raccogliere la sfida.