Una delle cose più significative che è venuta fuori dal convegno “Catania Green “, cui ho assistito nella giornata di Venerdì, è il dato sul fenomeno dell’inurbamento. Quel fenomeno per cui grandi masse di popolazione tendono a spostarsi nelle città.
Al 2050 è previsto che l’80/90% della popolazione mondiale vivrà in un contesto urbano: parliamo di circa 9 miliardi di persone! In Europa, attualmente, siamo già ai due terzi degli abitanti e, complessivamente nel mondo, al 45. Non è un dato nuovo ma suscita sempre una certa impressione.
Quindi, nel prossimo futuro, ci sarà sempre più bisogno di abitazioni, di luoghi di produzione, socializzazione e di svago.
Un dato che sembra in antitesi con la necessità di contrastare e ridurre il fenomeno, sempre più preoccupante, di consumo di nuovo suolo. Se i processi migratori sembrano inarrestabili, come potremo coniugarli con i bisogni connessi all’abitare senza consumare suolo?
Una delle risposte potrebbe essere quella data dallo sviluppo verticale delle città, non solo nelle parti di nuova realizzazione ma, anche, nei processi di riorganizzazione delle città esistenti nelle quali, considerate le problematiche legate alle modificazioni del clima, occorrerà liberare sempre più suolo da destinare a quelle che possiamo chiamare “infrastrutture verdi”.
Ne hanno parlato vari relatori tra i quali Henri Bava, illustre paesaggista francese con al suo attivo importantissimi interventi a scala urbana in varie parti del mondo.
Tutto verte sullo spazio pubblico, di cui è ineludibile la riqualificazione. Cosa che porta con se anche la modificazione del concetto di “suolo”, che non va considerato solo come un piano d’appoggio ma va inteso e trattato come “spessore”. Esiste infatti una città di superficie e un’altra città, sotterranea, fatta di reti, di infrastrutture invisibili, di fluidi ed energie che si muovono e, le notizie e i fenomeni che la cronaca spesso ci mostrano, ci fanno capire come il ciclo dell’acqua sia diventato, ad esempio, estremamente importante e problematico a causa dei cambiamenti climatici che, nel mondo antropizzato, generano fenomeni opposti di desertificazione e di alluvione. Come pure esiste una città fatta di relazioni, tra persone, tra attività. Allora bisognerà, coniugandolo al presente, modificare il modo di progettare lo spazio pubblico e il tessuto edificato che poi, nel nostro caso, significa anche poterla rendere sicura, la città.
Non è azione che riguarda una sola branca di specialità. Può essere solo un’azione di intelligenza collettiva e corale. Un efficace esempio è costituito dalle città verdi che, in tutta Europa e non solo, sempre più si stanno sviluppando. Città dove il verde e lo spazio pubblico -anche quello privato- assumono sempre più il ruolo di infrastruttura materiale e immateriale. In fondo gli architetti hanno sempre costruito la città intesa non come semplice aggregazione di edifici ma come complesso sistema di relazioni fisiche ed emotive.
E’ il terreno d’azione dell’architettura (responsabile) ed essa dovrebbe determinare le regole, non il contrario. Regole che dovrebbero essere resilienti, adattative e predittive, perché una città si costruisce in molti, molti anni e, poiché nel tempo l’uomo cambia, con esso cambiano le necessità e il contesto in cui vive.