Europa dove sei che non ti vedo

#europadoveseichenontivedo E’ l’hashtag che un mio caro amico -celiando su queste pagine- spesso usa per sottolineare le incongruenze della nostra Società, del nostro modo di vivere un po’ disordinato rispetto ai modelli del nord Europa considerati più evoluti. Può essere, anche, una modalità per evidenziare alcune criticità sulla comprensione del modello di Europa che noi cittadini di quest’Italia normale, popolare, vediamo, anche nei rapporti e nella vita di tutti i giorni quando, di fronte alle difficoltà economiche diffuse, ci sentiamo spesso dire “ce lo dice l’Europa” o “ lo impone l’Europa”. Già, ma di quale Europa parliamo? Non certo quella immaginata da Altiero Spinelli e gli altri padri fondatori i quali, credo, immaginavano un disegno europeo costruito sull’unione dei popoli, sulla tolleranza e sull’aiuto reciproco nella quale la libertà di scambio e di relazioni -anche in chiave economica- avrebbe dovuto costituire il common ground, il terreno comune, sul quale fondare un’unità europea capace di rendere il continente forte e coeso rispetto ai blocchi di potere economico e militare dell’est e dell’ovest del mondo. Un disegno che i processi di liberalizzazione, sviluppatisi nella seconda metà del novecento -troppo vicini alle teorizzazioni del Bildenberg- hanno via via deviato verso una competizione economica interna tra il nord e il sud, nella quale potentati finanziari hanno esercitato, in vario modo, azioni volte a consolidare i loro interessi. In questo senso l’avvento della moneta unica con le sue sperequazioni evidenti, con una banca centrale limitata nella sua azione di prestatrice di ultima istanza e la conseguente impossibilità di emettere moneta per le singole Nazioni, la mancanza di unità fiscale tra i singoli Stati membri, si è rivelata, per le parti più deboli, un vero e proprio nodo scorsoio. Le vicende del popolo greco, lo strapotere delle agenzie di rating e dell’FMI ne sono plastica testimonianza. La Spagna, l’Italia, la Grecia soffrono, da un decennio a questa parte, di una crisi epocale che è andata ben al di la di quella mondiale nata negli USA nel 2008, mentre la Francia, l’Olanda, la Germania hanno ben visto alla fine crescere le loro economie. Qualcuno dice che abbiamo un’Europa a due velocità che, credo si possa affermare, è l’esatto contrario dell’idea di Europa dei padri fondatori. Ogni azione ha i suoi contraltari ed ecco che, in Europa, si affacciano tensioni e sentimenti che di questa Europa hanno piene le tasche. Un’ondata di movimenti popolari, in varia misura, sta stravolgendo le rappresentanze politiche tradizionali perché il popolo, come disse Juncker alcuni anni fa, non capisce nulla quindi gli si può propinare qualsiasi cosa e piano piano la assorbirà. Però poi reagisce, a volte anche sconsideratamente. Ma la crisi, anche di valori, che attraversa l’Europa ha avuto ed ha i suoi teorizzatori: negli anni, ben sei premi Nobel per l’Economia (Mirrlees, Pissarides, Krugman, Stiglitiz, Amartya Sen, Friedman) hanno ragionato sulle modalità di istituzione e gestione della moneta unica nei termini messi in campo, per convenire che essa non avrebbe portato sviluppo diffuso, anzi sollecitando l’Italia a farsi da parte. E c’è da riflettere anche sui dati di sviluppo di Paesi che, europei geograficamente, hanno rifiutato e continuano a rifiutare l’unione politico-monetaria; tutti, invariabilmente, crescono e si sviluppano. La piccola Islanda, con Governi capaci di incarcerare speculatori finanziari che hanno tentato di impoverire i cittadini, ne è un esempio. L’Italia, un Paese in difficoltà ma con un patrimonio immenso, che da molti anni è in avanzo primario cioè spende molto meno di quel che incassa al netto degli interessi sul debito, ne è un altro, di segno contrario! Ora, noi italiani abbiamo il problema del rapporto tra l’attuale Governo e le Istituzioni europee. Un Governo che fa la voce grossa e gode, al momento, di un ampio consenso; strategia cui credo non sia estranea la prossima tornata elettorale per le Europee, nella quale raccogliere ancora più consensi... Intanto i mercati, la speculazione non necessariamente solo quella spregiudicata, reagiscono con la paura, la sfiducia. Sempre rispettando il mandato ricevuto, forse occorrerebbe far le cose con più discrezione e oculatezza, che non significa certo piegare la testa a diktat altrettanto sgradevoli, solo di farla funzionare -la testa- anche rinunciando adesso ad alcune azioni che, forse, potranno essere meglio meditate e condotte efficacemente con più tranquillità in un futuro. Magari non troppo lontano!

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