Da qualche giorno sono impegnato nel riordino delle #carte del mio studio, in vista di un trasloco e cambiamento (una piccola rivoluzione) che avverrà nei prossimi mesi e di cui, magari più in là, forse dirò. Rimetter mano all’attività di qualche decennio è far riaffiorare nel cuore e nella mente non solo carte e grafici ma, anche, tutto quello che quei fogli hanno rappresentato: persone, luoghi, fatti, emozioni per lo più nascoste nei meandri della memoria che, all’improvviso, saltano fuori. Ed emerge anche il cambiamento, lento ma inesorabile, che c’è stato nel modo di lavorare: ho ritrovato progetti disegnati a china, a volte personalmente a volte con l’aiuto di pazienti e preziosi collaboratori che, insieme a me, hanno lasciato su quei fogli le loro impronte, e a ogni segno, ad ogni appunto, un nuovo ricordo… No, non è lasciarsi andare al sentimentalismo, è solo la consapevolezza che allora - erano anni giovanili- le passioni, le pulsioni, gli ideali e il sapere si trasferivano sulla carta attraverso il gesto diretto, non c’era la mediazione della macchina che tutto semplifica e omogeneizza: c’era il saper fare; o non c’era! Ma i tempi cambiano ed ad essi è necessario, ineluttabile, adattarsi. La scoperta più significativa però è stata quella che, nonostante il tempo trascorso, molte questioni, molte problematiche non sono cambiate e gira che ti rigira ancora oggi ci troviamo a discuterne. Proprio poche ore fa ero li a postare su un blog una pillola di pensiero sulla questione degli edifici alti -le torri o grattacieli come preferite- nella mia città; dicevo che, a mio modo di vedere, la modernità di un sistema urbano non si misura con l’altezza dei suoi edifici e l’immaginarne di altissimi, per i tempi che viviamo, ha senso solo se attraverso essi si riesce a liberare suolo per destinarlo a spazi pubblici e di relazione gradevoli ed efficienti. Scrivevo che quest’obbiettivo è raggiungibile anche operando convenientemente sul tessuto edilizio esistente, liberandolo dalle incrostazioni del tempo, riorganizzandolo e rimettendolo a sistema attraverso connessioni a quota zero. In fondo non si parla d’altro che di quello che oggi definiamo come rigenerazione urbana e rivitalizzazione della città consolidata; temi importanti visto che abbiamo capito che il sistema città è un organismo nato per e capace di aggregare relazioni, conoscenze, creatività e occasioni che poi si traducono in sviluppo. Poche ore dopo, attendendo al riordino delle carte, ecco che salta fuori un plico degli anni ottanta, dei primissimi anni ottanta: uno studio, non commissionato da alcuno, sul tessuto della mia città del quale si analizzava, secondo un punto di vista personale, struttura, consistenza, potenzialità e, in quello studio, veniva fuori l’ipotesi del “riuso” degli spazi di risulta tra gli edifici, vuoti urbani e corti storiche delle quali poi, negli anni, spesso mi sono ritrovato a parlare. Avevo rimosso quello studio, ma ho sempre sostenuto che la nostra struttura urbana storica ben si presti a creare relazioni e occasioni a quota suolo, rendendo vitali luoghi oggi nascosti, abbandonati, capaci però di esprimere potenzialità sociali, anche commerciali e d’uso pubblico che sarebbero un formidabile driver di sviluppo e di modernità della città. Tanto (forse più) quanto i grattacieli. Uno schizzo ingiallito, fatto a mano con matite colorate e una squadretta, forse può testimoniarlo.