La difesa è necessaria quando si è sotto attacco e che la professione di architetto lo sia -da molto tempo- è sotto gli occhi di tutti, non mancano esempi! Quindi l’interrogativo è come difendersi? Parto dal presupposto che la miglior difesa consiste nell’attaccare e, nel nostro caso, occorre farlo su più fronti, in modo sinergico e organizzato con azioni interne alla categoria e, anche, rivolte all’esterno. Tra quelle interne, che sarebbero le più facili a realizzarsi, tre sono a mio avviso i punti fondamentali: la riforma dell’ordinamento professionale (risalente nel suo impianto complessivo agli anni ’20 del secolo scorso) un'implementazione del codice deontologico e un miglioramento conseguente del funzionamento dei consigli di disciplina introdotti nel 2012. Il primo punto, riferito all’ordinamento, è oggetto di discussioni, dibattiti, proposte di legge e trattazioni interne alla professione da moltissimi anni. Due anni fa il CNAPPC istituì un “gruppo operativo” con il compito di pervenire alla proposta di riscrittura di un testo da poter condividere, nei suoi principi fondamentali, con le altre professioni di area tecnica. La bozza di proposta, cui pur si arrivò nel 2017, tra l’altro, riordinava l’organizzazione di categoria incluso il sistema elettivo, le forme di esercizio della professione libera e dipendente, reinterpretava la questione del compenso alla luce dello Statuto del lavoro autonomo, si occupava della formazione sia universitaria che continua. Si preoccupava di migliorare le azioni dei Consigli di disciplina garantendo anche che coloro i quali avessero assunto la responsabilità di farvi parte avessero le adeguate competenze tecniche e morali. Lo stato dell’arte a oggi, a meno dei responsabili del sistema ordinistico, non è noto alla platea degli iscritti quindi neanche a chi scrive, di conseguenza non pare opportuno commentare un lavoro in divenire e i cui esiti finali non si conoscono. Quel che è certo è che questa riforma appare urgente. Aggiungo solo una mia personale considerazione, che trae spunto dalle modificazioni del lavoro, del mercato e delle sensibilità; mi chiedo infatti se abbia ancora senso inquadrare il controllo “politico” della nostra professione nell’ambito del Ministero di Giustizia. I temi che si stanno affrontando -rigenerazione urbana, qualità delle trasformazioni, consumo di suolo, messa in sicurezza dei territori, ruolo sociale, ecc.ecc.- mi fanno pensare che il rapporto con lo Stato potrebbe avere più efficaci risultati se condotto con il Ministero per l’Ambiente, o anche quello per la Cultura, perché questi temi sono il nostro core-businnes. D’altronde, gli esempi di sistemi ordinistici legati al Ministero di diretto riferimento non mancano: penso agli avvocati o ai medici per i quali le azioni concrete credo misurino risultati più efficaci rispetto al tema di questa riflessione. Tra le azioni esterne una, forse la più importante e difficile, è già in corso; mi riferisco alla proposta, emersa nel Congresso Nazionale dello scorso Luglio, della Legge sull’Architettura. Che, nelle intenzioni, non è certamente una legge a favore degli architetti ma volta a garantire i migliori risultati nell’ambito delle trasformazioni territoriali di qualunque scala; ovvia la considerazione che la buona architettura non si fa per Legge ma, certamente, la Legge può determinare condizioni più favorevoli perché essa sia possibile e non stiamo inventando nulla: questo tipo di norma esiste già in altri Paesi europei (Francia e Portogallo ad es.). Si tratta di una strada complessa, ma è tanto più necessario percorrerla se consideriamo le aberrazioni e passi indietro su diversi fronti che siamo costretti a registrare: prestazioni d’architettura nei pacchi regalo natalizi a pochi euro, centrali statali e regionali di progettazione, ripristino degli incentivi per le progettazioni in house e via dicendo, che mortificano il ruolo del progetto e della professione. Per contrastare le quali occorrerebbe agire su più fronti: dalle azioni di lobbing, comunicazione e marketing specializzato, a quelle istituzionali capaci di ricreare il senso di appartenenza alla comunità e di condivisione degli obbiettivi generali; appartenenza che, credo non solo ai miei occhi, appare sempre più sfilacciata. E le divisioni -orizzontali e verticali- non pagano, fanno il gioco di chi nella professione e nei professionisti vede un ostacolo, un fastidio. “Divide et impera” è un motto sempre valido!