Riuso è un acronimo, caso molto speciale, coerente con il significato delle parole che lo compongono: rigenerazione urbana sostenibile; vediamole. Rigenerazione: rigenerare, indica il riportare a nuova vita e funzioni quel che già esiste; se ci facciamo caso, applicandolo agli insediamenti urbani, vuol dire che dobbiamo rimettere a sistema quel che già possediamo in termini di suolo ed edifici, il che implica la riduzione del consumo di nuovo suolo. Urbana: deriva da “urbis”, città, ma cos’è città? Città è il sistema degli edifici, degli spazi pubblici certamente, ma anche delle infrastrutture e delle aree verdi, la campagna circostante, i luoghi di lavoro, socializzazione, divertimento, cultura, le persone. Sostenibile: identifichiamo la caratteristica come la riduzione delle necessità energetiche, il rispetto degli equilibri biologici, l’equa distribuzione delle risorse e delle opportunità. Quando parliamo quindi di RI.U.SO non dobbiamo intende solo un fatto edilizio ma un modello sociologico e comportamentale riferito a fattori complessi. Concetto la cui messa a sistema mi piace far risalire al Congresso mondiale degli architetti che si tenne a Torino nel 2008. “Transmitting Architecture” ne era il titolo, trasmettere architettura, nel senso di scienza rivolta alla vita delle persone, al loro benessere complessivo, rivendicandone una visione etica come Architettura di (a) servizio. Si individuò il futuro delle città, in chiave sostenibile, partendo dalla riqualificazione delle periferie interne ed esterne (ne è uno sviluppo il termine di “rammendo” di R. Piano) andando poi verso il termine “eco-città” coniato dall’allora presidente del CNAPPC Raffaele Sirica, poi evolutosi in quello di “città verde” quale luogo di riscatto e opportunità. In sostanza si posero le basi, nel 2008, di quel fenomeno definito “democrazia urbana” attuabile solo attraverso un approccio olistico alle dinamiche urbane, alla cui soluzione dovevano -devono- essere chiamate tante esperienze e competenze diverse. Si delinea, a mio avviso, con una sorta di formula: 3E + B+ S , cioè Efficienza, Equità, Equilibrio + Bellezza e Sicurezza. Tutti temi sviluppati negli anni, con costanza, dalla comunità degli architetti italiani e che ha portato il termine “riuso” a diventar diffuso anche in ambito del dibattito politico, e non è stata poca cosa. Perché, dosare gli elementi della formula è cosa complessa, dovendoli mettere in campo senza snaturare l’identità dei luoghi pur favorendone l’innovazione, alla quale non può mancare la componente della “sostituzione/trasformazione” per garantirne la resilienza. Ciò è possibile utilizzando le discipline architettoniche ed urbanistiche in collegamento alle altre, sociologiche ed economiche ad esempio, introducendo elementi di qualità globale -fisica e immateriale- e, tra gli altri, la riconnessione delle armature culturali, l’interconnessione/valorizzazione dei poli interni – una sorta di rete degli interessi e delle opportunità- che è anche legata alla riconquista della permeabilità orizzontale delle città a scala pedonale, nel quadro della messa in sicurezza dei nostri delicati tessuti urbani; anche attraverso nuovi sistemi di mobilità lenta e infrastrutture verdi. Se ci pensiamo bene tutto ciò si può ricondurre a due modelli comportamentali, quello dell’accuratezza (dobbiamo aver cura e attenzione per quel che abbiamo ricevuto e dobbiamo trasmettere, arricchito, a chi è con noi e a chi verrà dopo di noi) e dell’etica. E questa è cosa ben diversa dalla deontologia professionale - fatto meramente tecnico/giuridico. Assume il ruolo di consapevolezza globale sul ruolo e sui compiti di chi ne svolge le funzioni di coordinamento. Un ruolo che, dai tempi di Platone -anche prima- fino ai giorni nostri, è deputato alla Scienza dell’Architettura.