Oggi in Italia possiamo godere di una politica di agevolazioni fiscali per la riqualificazione edilizia come mai vista prima: si ha diritto a detrazioni fiscali per ristrutturare casa, per renderla energeticamente più efficiente, anche per migliorarne la resistenza sismica. Addirittura si possono ottenere agevolazioni anche per l’acquisto di mobili e per sistemare spazi verdi. Eppure la filiera stenta a ripartire essendo ritornati, come le statistiche ci mostrano, al livello di investimenti degli anni 60-70. Se ci aggiungiamo il blocco delle opere pubbliche e delle infrastrutture il quadro dei problemi è più chiaro. Per la verità, sempre i dati ci mostrano anche che gli investimenti in riqualificazione del patrimonio immobiliare hanno raggiunto, nel 2017, la cifra di 28 miliardi e, considerando il periodo sin dal 1998 (anno in cui si affacciarono i primi provvedimenti), si evidenzia un saldo positivo per le casse dello Stato di quasi 9 miliardi di euro (dati Cresme). Un buon affare anche per l’Erario quindi e un segnale che quando si stimola in modo intelligente la crescita ne guadagna il Paese. Permangono però le criticità, seppur in modo diverso geograficamente, e i valori immobiliari medi ancora non ne trovano giovamento. Il dato può essere meglio compreso se si confrontano il sistema degli incentivi (legati alla detraibilità fiscale) e la diversa distribuzione del reddito medio tra il nord e il sud d’Italia, che vede il primo attestarsi su valori superiori ai 23mila euro e il secondo intorno ai 16mila. Una differenza del 30 %! Ovvio quindi che la gran parte degli investimenti si concentri nelle regioni dove i redditi percepiti sono in grado di compensare le detrazioni con il dare fiscale mentre, dove ve ne sarebbe maggior bisogno, si fa più fatica a d utilizzarli. I recenti provvedimenti, che consentiranno la trasferibilità delle detrazioni a chi è in grado di assorbirle, probabilmente miglioreranno la distribuzione, anche se già si affacciano sul mercato soggetti forti che, per offrire questo servizio (l’acquisizione del credito fiscale di chi non può utilizzarlo per l'insufficiente capienza), ne tratterranno una parte non marginale. Con qualche rischio, specie nelle regioni più deboli, di ulteriore polarizzazione del mercato edilizio a favore di pochi soggetti, mettendo ancora una volta in condizioni di sudditanza le piccole imprese locali. Ora, poiché tra gli obbiettivi degli incentivi, oltre a quello di dare un impulso positivo ad un settore in crisi, c’è quello di favorire la generale riqualificazione del patrimonio immobiliare italiano, parrebbe ovvio che si agisse su tutti i punti nevralgici che ne hanno causato la sofferenza: intanto stabilizzando, una volta per tutte, l’apparato normativo delle incentivazioni per poi agire sull’impoverimento complessivo del ceto medio, le incertezze e incongruenze normative che favoriscono (anche loro) la farraginosità delle procedure, che nessun tentativo di semplificazione, ad oggi, è riuscito a scardinare. Azioni che dovrebbero essere corollario di un generale piano/obbiettivo strategico di rigenerazione urbana (la comunità degli architetti italiani da anni lo chiede, lo spiega, lo sostiene) e che, come dimostrato da ormai numerosi esempi europei e non solo, può avere successo se fondato sui principi della qualità urbanistica, architettonica e della sostenibilità ambientale. Che sono, esse stesse, un buon investimento.