Feltri, con le sue dichiarazioni su Camilleri a dir poco volgari, ha causato la reazione di due suoi colleghi, Borrometi e Ruotolo, i quali hanno inviato una lettera di autosospensione al Presidente del loro Consiglio Ordinistico, ritendo incompatibile con la loro dignità l’essere iscritti allo stesso Albo di cotanto soggetto. Ovvia la risposta: la riforma sulle professioni, voluta dal Governo Monti, ha tolto dalla potestà dei Consigli dell’Ordine le funzioni disciplinari, affidandole ai cosiddetti Consigli di Disciplina ed essi hanno uno status giuridico totalmente distinto e autonomo da quello dell’Ordine stesso; ergo, non esistendo nel sistema ordinistico l’autosospensione, bisognerà vedere se il Consiglio di Disciplina cui è soggetto Feltri deciderà (o sarà obbligato a seguito di formale denuncia) di aprire un procedimento a suo carico e attenderne l’esito; che può arrivare anche dopo molto tempo dovendosi esperire, per il sacrosanto diritto alla difesa, tutte le fasi di giudizio. Nell’attesa, paradosso dei paradossi, perdurando il loro disagio Borrometi e Ruotolo potrebbero dimettersi dall’Ordine - rinunciando così ad esercitare il loro mestiere. Un casus belli che mi solletica ad un ragionamento su quest’aspetto della riforma montiana a sette anni dalla sua nascita. Dico subito, a scanso di equivoci: trovo giusto che le funzioni disciplinari (almeno quella giudicante) siano state sottratte ai Consigli degli Ordini; in passato non sono mancati casi di affossamento o di conclusioni sorprendentemente favorevoli ai professionisti che non poco danno hanno indotto alla figura e alla credibilità sociale stessa della libera professione. Tutto bene allora? Non proprio, perché ad esempio, nella fretta legislativa, ci si è dimenticato di chiarire bene a chi sarebbero andate le competenze disciplinari nel caso l’incolpato fosse stato, per le sue funzioni, un consigliere di disciplina (o come e a chi segnalarlo) e, cosa più seria, per la scelta dei componenti ci si affida in prima battuta al Consiglio dell’Ordine, libero di utilizzare il criterio più gradito a meno di pochissimi paletti. Il che, potenzialmente, ha tolto forza all’istituto essendovi il rischio di selezionare anche elementi privi della benchè minima esperienza sulla materia, preparazione o, peggio, credibilità. Ancora più singolare il fatto che gli stessi soggetti che svolgono il ruolo istruttorio siano poi chiamati a valutare e decidere sugli esiti della loro istruzione. E’ come affidare la sentenza su di un caso non al Giudice ma al Pubblico Ministero. Una soluzione possibile (peraltro nota a chi di dovere) esiste: In primis imponendo che gli elementi scelti quali candidati al ruolo di Consigliere di Disciplina debbano dimostrare le proprie competenze nella materia (che non è proprio agevole) o comunque essere messi in grado di acquisirle in modo certificato non appena nominati. Poi eliminando il vulnus della coincidenza, negli stessi soggetti, del potere di valutazione, incolpazione, istruzione e giudizio, che sappiamo non esistere nell’ordinamento giuridico italiano; cosa che è anche facile da fare: basterebbe riassegnare al Presidente dell’Ordine il ruolo di primo valutatore dei fatti esposti (quasi un Giudice Istruttore) il quale poi dovrebbe proporre all’Organo disciplinare, ben motivati, i suoi convincimenti, perché molte sono le richieste di azione disciplinare infondate o addirittura strumentali. Il Consiglio di Disciplina, in tal modo e alle precondizioni esposte, assolverebbe al ruolo giudicante. Un sistema a mio avviso più equilibrato ed efficiente, oltre che forse meno costoso per gli stessi Ordini.