COSTRUIRE - TRA SACRO E PROFANO

La famosissima piramide a gradoni di Saqqara venne fatta costruire, oltre 4000 anni fa, dal Faraone Djoser; l’incarico venne affidato a Imhotep, che era architetto, ma anche medico e astronomo. Ed è nota la teoria secondo la quale le piramidi della piana di Giza, ai tempi della loro costruzione che durò secoli, erano la rappresentazione sulla terra delle tre stelle centrali della costellazione di Orione, che gli Egizi associavano al dio Osiride. Più avanti, nell’età romana, la fondazione di una città partiva da un atto rituale- fecondatorio, rappresentato dal tracciamento dei suoi confini per mezzo di un aratro e la posa di una prima pietra con inciso un fallo, avente la funzione simbolica di protettore della città. Che si è mantenuta fino a poco tempo fa, magari sostituendo al #fallo, una pergamena o qualche altro oggetto. Altre culture associano alla costruzione proprietà esoteriche o taumaturgiche, come nel caso millenario del Feng Shui, oggi molto di moda ma che, a ben vedere, ha più di un punto di contatto con le teorie di Hartmann sul reticolo magnetico terrestre e le sue implicazioni sulle geopatie (parliamo degli anni ’50 del ‘900- giorni nostri). Ne possiamo dedurre che, da quattromila anni almeno, l’uomo ha sempre associato all’architettura e alla modificazione dello spazio un valore che è aggiuntivo alla semplice risposta al bisogno fondamentale della protezione. L’architettura, la costruzione come atto in qualche modo divinatorio, sacrale che, nei secoli, si è arricchito di ulteriori valori rappresentativi, evocativi, culturali, essendo stata sempre -l’architettura- permeata dal senso più intimo del #luogo e del suo permanere nel tempo. Come dire che essi sono stati sempre considerati valori primari, grazie ai quali la tecnica si è sviluppata, evoluta. Pensiamo al gotico e allo sviluppo delle tecniche costruttive in pietra per edificare edifici sempre più snelli e più alti, tali da poter rappresentare plasticamente l’ascesa dell’anima alla divinità. La corsa all’alto, cui da tempo assistiamo con la costruzione di grattacieli sempre più arditi, ne costituisce una mutazione in chiave spesso dimostrativo-speculativa. Oggi, quasi una rivalsa alla materializzazione del processo architettonico, assistiamo alla riemersione di responsabilità, come ad esempio l’approccio olistico e biologico all’architettura- ritrovata consapevolezza della delicatezza insita nelle relazioni tra l’attività dell’uomo, anche il costruire, e l’ambiente circostante. Guardando con prospettiva storica sembra di assistere a quei ricorsi per cui i fatti umani sono destinati a ripetersi prima o poi e, forse, abbiamo proprio bisogno di ritornare ad una dimensione più attenta, consapevole del costruire; prima di tutto liberandolo dagli orpelli che sono tanto burocratici quanto speculativi, a volte di pura immagine esteriore, che costituiscono un particolare freno alla riconquista della coscienza sul fatto che il tecnicismo, con le sue iperboli, non è il fine ma un mezzo per raggiungere obbiettivi, prima che materiali, culturali. E’ l’architettura, la sua cultura, che costruisce le città e, con esse, i cittadini presenti e anche quelli futuri al cui servizio -proattivo- si pone.

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