Secondo l’ultimo G20 nel mondo ci sono 46000 istituti bancari dei quali solo 29 hanno una dimensione globale. Di questi, i primi 11 hanno una capitalizzazione (una potenza economica) pari all’intero debito mondiale! E’ facile quindi immaginare quali siano gli interessi che possono mettere in gioco , sicuramente molto più forti dei governi “politici” degli Stati. Allora si moltiplicano i segnali d’allarme rispetto ad un modello di sviluppo che vede la finanza e il mercato quali elementi regolatori dei rapporti tra uomini, Stati economie. Già Papa Giovanni XXIII° e poi Benedetto XVI° (vedi l’Enciclica “Caritas in veritas”) hanno individuato le criticità insite nel sistema, riprese poi dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, vedendo nell’esasperato liberismo e nella globalizzazione senza regole, così come li conosciamo e ci vengono propalati quali modelli virtuosi di sviluppo, una sorta di “apriorismo economico” che considera le teorie economiche e del “libero” mercato -nei suoi aspetti più esasperati- il modello di governo dei rapporti sociali, proiettandoci in un mondo sostanzialmente senza regole e con scarsa considerazione dell’uomo, della sua dignità, cui invece dovrebbero essere al servizio. Modello che ha generato la crisi che viviamo, a partire dalla Lehman Brothers il cui fallimento, dovuto anche a queste regole che vedevano in esso il modo di arginare la crisi del 2007/2008, ha generato il default di fiducia generalizzato che porta all’incombente disastro che vediamo prefigurarsi.
Segnali che anche alcuni insigni economisti cominciano ad evidenziare, auspicando, è il caso di François Morin, un “mondo senza Wall Street” dove la Politica possa riconquistare il suo primato nel controllo degli Stati e delle loro economie.
Eppure, di fronte a queste evidenze, continuiamo a perseguire come opportunità l’espansione del “libero mercato” senza regole e ci affidiamo, per far uscire l’Italia (e l’Europa) dalla crisi epocale in cui si trova, a esponenti che di questa sorta di Far West sono stati e sono esponenti e corresponsabili. Non solo, ma per perseguire questi fini, non so fino a che punto nobili, si vuole estendere il liberismo selvaggio anche alla cultura ed alla formazione. M riferisco alle numerose proposte di abolizione del valore legale del titolo di studio, che equivale all’eliminazione del controllo degli Stati sui processi di formazione dei saperi nel nome della “concorrenza” anche in questo campo. Ogni potentato economico potrebbe farsi al sua Università cui attribuire un “rating” di valore secondo parametri non ben chiari. Uniamo questo alle nuove, disastrose, disposizioni licenziate da Tremonti, che Monti probabilmente attuerà, in tema di esercizio delle professioni, tra le quali la possibilità di costituire esercizi professionali da parte di soggetti portatori solo di capitale e non di saperi, e vedremo come si vuole ricondurre il patrimonio della conoscenza, che dovrebbe avere fini prevalentemente etici, a valori solo economici che nulla hanno a che vedere con la necessaria modernizzazione delle professioni.
Quanto siano costituzionali queste previsioni , quanto realmente utili, è tutto da vedere. Certo rispondono ad appetiti che abbiamo già sperimentato, vedi l’introduzione dell’ Euro-moneta senza Stato-, del libero mercato sulle assicurazioni , sui carburanti e altro i cui “vantaggi” ogni giorno la nostra tasca sperimenta.
Meditate gente…