Riflessioni sul progetto San Berillo

Da sessant’anni immense voragini si aprono al centro  di quella avrebbe dovuto essere  la City dell’allora “Milano del sud” e oggi sono il girone infernale dove  i reietti della città hanno eretto favelas di cartone e lamiera. Dopo tutto questo tempo  pare siamo vicini alla conclusione della vicenda, il susseguirsi di notizie sull’evoluzione del progetto di Fuksas ne è forse un segno.

Già, un’archistar che deve dimostrare tutta la sua abilità pur dovendo interagire con un sistema vincolistico prevaricante e obsoleto, tale che i segni immaginati dal Piano negli anni ’50 ha dovuto considerare pressoché invariabili. Chi ha visto i progetti di Fuksas, nelle varie versioni, forse questa rigidezza ha percepito,  mediata però dalla volontà dell’architetto di, in qualche modo e misura, richiamare il tessuto della città demolita. Una sorta di richiamo della memoria nel solco della ricercata contemporaneità. Tanti passi dal 2008 ad oggi sono stati fatti: ulteriori riduzioni delle volumetrie da costruirsi, il salvataggio -più che opportuno- della scuola esistente, la ricerca di un sistema del verde e delle attrezzature.

Ecco, questo è un tema stimolante: la configurazione complessiva di quest’area dove ricostituire l’effetto città!  Provo a lanciare alcuni temi: il primo è quello della permeabilità del quartiere in ossequio alla sua memoria storica;  il livello zero del comprensorio piacerebbe  fosse facilmente attraversabile pedonalmente   in tutte le direzioni  collegando così, senza soluzione di continuità, gli esercizi commerciali e le attrezzature che il piano prevede. Un livello zero dove avere innesti, spine, isole di verde secondo un disegno continuo, con spazi pubblici aperti e coperti. Poi le attrezzature; sò che è prevista la realizzazione di un  teatro che dovrebbe essere progettato dallo stesso Fuksas: ottima scelta ma perché non pensare, anche ed oltre, per esempio a un museo  per l’arte contemporanea  di cui Catania è sprovvista? E perché non pensare che questo può essere realizzato senza impegno di nuova cubatura inserendolo parzialmente  tra le aree commerciali e con sviluppo ipogeo, magari ricercando il progetto migliore attraverso un Concorso di Idee  per esso e per l’area mercatale? Un concorso snello, a due fasi e per questo a libera partecipazione, una sorta di riserva di architettura. Senza contare che la commistione tra queste diverse attrezzature aumenterebbe l’effetto città e quindi l’appetibilità e la vivibilità della zona.

Vado avanti con la fantasia -tanto non costa nulla- immaginando che i parcheggi interrati, previsti opportunamente in tutti i lotti, possano avere un sistema di mutuo collegamento in modo da ricreare nel sottosuolo una rete alternativa di connessione tra le varie attrezzature e edifici e, perché no, la possibilità di un livello uno, sopra il suolo, che realizzi una grande articolata  piazza-giardino riconnessa al suolo da rampe , scale mobili, ascensori panoramici. La ri-creazione di un complesso sistema di relazioni spazio-temporali che, a ben vedere, è la chiave del successo di molte operazioni di riqualificazione urbana.

Dalla quale è certo logico aspettarsi un guadagno per gli investitori, ma da cui si può ottenere un grandissimo vantaggio collettivo grazie all’ innesco di un processo di rinnovamento generale della città e del livello della sua qualità della vita.

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