Il nostro Presidente della Repubblica lo ha detto chiaramente: dobbiamo comprendere che l’Italia deve ripensare i suoi comportamenti e gli italiani devono modificare i propri obbiettivi, aspettative, modelli di vita. Non c’è più posto per gli egoismi, per le piccole o grandi furbizie, non possiamo pensare più allo Stato come una cassa continua dalla quale attingere danaro per fini personali contrabbandati per generali.
Mi veniva in mente questo monito ieri, quando un collega, certamente in buona fede, cercava sostegno e appoggio presso l’Ordine professionale per far decollare un proprio autonomo progetto teso alla valorizzazione di un’area, a suo dire, di interesse storico ed etno-antropologico.
Quando ha illustrato le linee guida di questo progetto è venuto fuori che pensava di trasformare un’intera area sovracomunale, attualmente privata e con edifici al suo interno, in un grande parco, attrezzato, da vincolare ad uso pubblico.
Vale a dire aggiungere alle responsabilità e alle cure dello Stato e della Regione, con i conseguenti costi di struttura e gestione, un altro pezzo di territorio. Stato e Regione che già non ce la fanno a gestire quello che –già troppo- è nella loro disponibilità.
Non rifletteva il collega sul fatto che, così facendo, aggiungeva alla fin troppo fitta e intricata rete vincolistica, pochissimo produttiva e fruibile, un’altra maglia capace di bloccare le opportunità che altro tipo di previsione-progettazione poteva offrire al mercato, all’utenza,all’economia.
Voglio dire che in questo, come in altri casi, vi era ed è la possibilità di immaginare uno sviluppo e un controllo di tipo propositivo e non coercitivo. Una programmazione, questa sì di responsabilità pubblica, capace di indirizzare le risorse private verso ipotesi di sfruttamento che, senza oberare ulteriormente le pubbliche finanze, potesse consentire un utilizzo delle risorse storico-ambientali, di cui peraltro siamo ricchissimi, secondo linee guida leggere e flessibili.
Certo, questo tipo di processo è ben più difficile essendo più semplice, almeno lo era una volta , invocare la longa-manus pubblica per soddisfare i propri ego e qualche interesse.
Eppure dobbiamo cambiare mentalità e comportamenti. Anche quando gli investimenti riguardano esclusivamente la sfera privata, che poi privata lo è fino a un certo punto.
Quando si pensa ad un investimento, che sò nel comparto delle costruzioni, non possiamo più solo pensare al massimo sfruttamento delle potenzialità finanziarie. Dobbiamo aggiungere a queste la valutazione delle potenzialità economiche che, per loro natura, hanno riflessi anche sul benessere collettivo nell’accezione più ampia.
La qualità globale -tecnica, estetica, comunicativa, funzionale- di una qualsiasi opera è valore etico ed economico oltre che semplicemente finanziario.
Certamente lo Stato avrebbe il compito di indirizzare e favorire questo modello comportamentale; in attesa che finalmente lo faccia (non credo purtroppo a breve)immagino sia compito di chi ha la responsabilità operativa far sì che questo accada. Anche perché alla fine risulta più conveniente.